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Non sono quella della scala6

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«Ma lei è della polizia?» «No, signora, come le ho detto, sono una giornalista

«E che vuole da me una giornalista?»

 «Adesso le spiego… Intanto, per riservatezza, le attribuisco un nome convenzionale: le va bene Diotima?» «Sì, così non mi riconosce nessuno. Mi chiamano Mimma, quei pochi … Ma l’importante è che sono io, sì.»

 «Ecco, signora… Lei sa… ricorda perché è qui?»

«E certo! Sono in ospedale! Quello che mi è capitato quasi non si può raccontare. Sembra una cosa dell’altro mondo. Le devo dire che sono in confusione, sa? Mi tornano anche le vertigini, ma non sono matta.»

«Certo che no. Ma a me interessano gli effetti… dello shock. Cioè mi interessa il modo in cui lei ha vissuto e vive ancora le ripercussioni della paura, dello spavento. Vorrei che lei mi raccontasse quello che le ritorna in mente, così come le viene… Vogliamo attirare l’attenzione sulla situazione di trascuratezza in cui vive il suo e altri quartieri della periferia. Cominciamo? Io registro e mi sforzerò di non interrompere mai il suo discorso… »

«Noi anziani abbiamo tanti timori, sa? Siamo fragili e la mente, pensando tante cose, va un po’ così, che qualcosa ricordi e molto dimentichi… perché ci sono i malesseri…

Quel giorno… Ieri? Ma non so se era mattino o forse pomeriggio… Un sonno che non riuscivo a vincere mi tingeva di scuro gli oggetti e li toglieva dalla vista. E a un tratto mi vedo arrampicata sul davanzale della finestra a guardare di sotto. E intanto rumori brutti, da paura… Poi niente. Ho pensato alla  mia pensione, prelevata dall’ufficio postale. Cinquecento. Il mio capitale mensile. Ma io l’ho infilato, pure gli spiccioli, sotto la mattonella smossa dove poggia un piede del mio letto! - Io non mi faccio fregare né dai topi, né dalle “merdone” a due gambe - ho pensato. E che, per questo mese, non mi sarei fatta fregare nemmeno da quelli del governo. Quelli sì, lesti coi fiocchi!

Mi frullavano in capo queste idee un po’ tra l’annebbiamento e gli attimi di distensione della paralisi che mi afferrava il dorso - sai quella parte esposta e sensibile appena sotto le scapole? - Qui. Qui ancora correva come una piccola scarica elettrica, ma durevole. Ero scossa e mi pareva di non potermi muovere. E intanto, mi vedevo seduta sul solito divano, ruotavo intorno alla mia schiena, che era come un bastone freddo e duro. E, a quel punto, sento scrosciare l’acqua della doccia, nel bagno. E non so come si fosse aperto il rubinetto… Lo scroscio mi ronzava nelle orecchie e diceva: «Ti ammazzo, ti ammazzo...» Ascoltavo. Ma poi era un normale scroscio di doccia. E come era cominciato? Lottavo col sonno per poter avere memoria. Avevo dimenticato il getto aperto? E da quando? Ed ecco che mi arrivava uno strepito di passi, colpi di tosse e rumori che non capivo come… E mi sembrava di trovarmi in una grotta buia, fredda… E il freddo è quello che ti prende alle mascelle.

-Adesso sono prigioniera! - Ho pensato e di colpo ero bloccata su una sedia. Eppure scivolavo senza potermi afferrare a niente. E andavo, andavo dentro il budello che va a incontrare la porta del bagno, come se non finisse mai e fosse a piombo invece che piano.

-Mi sta girando anche la testa - Ho pensato. Vedevo? Certo che no, dato che avevo chiuso gli occhi per via delle vertigini, ma anche perché non volevo guardare. Mi stavo risparmiando il brutto colpo del vedere. E mi dicevo: «Questo è il segno che mi sta succedendo un fatto molto brutto. Humh! sono sicura che se apro gli occhi diventerò cieca di terrore.»

Li stringevo, infatti, e cercavo di non vedere altro che i diavolini di luce delle palpebre. «C’è qualcuno!» Mi sono detta. E quest’idea mi è arrivata nel cervello come una palla di fuoco. E allora ho interrotto il respiro come se avessi potuto spegnere quel fuoco per mancanza d’aria... Poi non so. Se ho dormito, o forse sono svenuta, l’ho saputo quando mi sono svegliata e mi è sembrato di ritrovare i  miei piedi poggiati sulla terraferma di matto nelle rosse del solito pavimento.

«Ah, ecco, non è accaduto proprio niente!» Mi sono detta, cercando di respirare. - Ho l’indigestione - ho pensato. E, di colpo, mi vedo appesa al davanzale della finestra aperta, come se mi fossero cresciute le ali.

-Che strano! Di solito anche stare alla finestra mi dà il voltastomaco! E come!

E, come l’ho pensato, ecco la nausea. E cerco di sbirciare senza muovermi. Sbirciare? E con quali occhi? Indovino voci, una macchia scura di gente sotto casa. Sento che arriva anche il Bogino, a sirena spiegata... Ma davvero? 

- Ah! A furia di guardare filmetti mi sto istupidendo del tutto - ho pensato. Però pareva tutto reale, perché davvero c’è uno spazioso corridoio d’aria tra i due casermoni grigi, dove abito. Così la mia finestra può guardare lontano, sulla spianata di erbacce e vedere il traffico del pezzo di strada a serpentone, che lo spedisce verso la statale.

«Che è successooo?» Provo a gridare. Ma mi pare di capire che la mia voce non arriva laggiù. E, infatti, non la sento neppure io. E allora non so se sono sveglia o sono allucinata… E’ perché la mia pressione alta questi giochetti me li fa…

-Tutto l’ambaradan del Bogino … per chi sarà mai? - ho pensato. E mi monta una stizza: gli piscerei addosso a tutta quella gente, per far capire che ci sono anche altri, oltre quelli o quelle vattelappesca di quella scala lì! Dove i cani ci pisciano proprio.

«Quassù va tutto ok! » 

Era come uno sparo che non so da chi uscisse.

«Ok, ok!» Ripeteva. E mi pareva che il suono fosse di porta sbattuta. Ed ecco che mi salta alla vista questa frase, come su un cartiglio: “Noi, ex gente di campagna e di pecore, diciamo ok come gli yankee, dato che ci siamo fatti i casermoni come a Brooklyn.”  

Mi era tanto piaciuta sul momento… perché disprezzava il parlare americano con le fave bollenti in bocca. Noi sardi ne capivamo di fave! Anche io, vecchia lollona, ho imparato a dire ok, senza accorgermene. Quante cose s’imparano dalla TV! Oh, io so che imparo. E mi ripetevo, come avessi una specie di ridarella:

«Per me va abbastanza ok. Non faccio come Teresa che si ferma sempre all’abbastanza... Sto abbastanza» dice.

«Althzeimer.» Le rispondo io, allora. Però ho il sospetto che pure io…

Ecco, quello di prima: un incubo, l’invenzione del cervello per scaricare nel sonno la mala digestione… Mi prende al volo sulle staffe del puledro indiano lanciato nella prateria del Wyoming.

Non rida, sa, signora giornalista! Se pronunciassi a voce alta la parola Wyoming  che pare una bestemmia, detta a quel modo lì, all’inglese, la gente di qui direbbe che sono matta. Ma non sono matta. Io so quello che dice la TV e lo imparo. Tutti noi pensionati, da cinquecento al mese o giù di lì, sappiamo abbastanza del Wyoming, del secolo scorso e quasi tutto quel c’è da sapere di New York, oggi, al tempo della crisi. Solo che c’è chi impara e ricorda e chi è soltanto un colabrodo a buchi grandi. Di pensionati così ne trovi di più nella seconda categoria. Si ricordano solo il giorno di san paganino… Mica possiamo frequentare i teatri o leggere i giornali! E poi i giornali hanno una scrittura così piccola che ti stanchi prima di aver cominciato. E non sono interessanti, proprio come qui che, di interessante, non c’è proprio niente. Infatti io, io non so proprio nulla, per esempio, del mio isolato. Non sono pettegola, io. E mi faccio i fatti miei. Io sto alla scala 5, in via Sa Forada Manna, dove non succede mai nulla che valga la pena di sapere…

«Anche lei sta aspettando la visita medica?» «No, signora Diotima. Sono la giornalista, ricorda? Mi stava dicendo che arrivava anche la polizia …»

«Ah, polizia! Sì, per quelli della scala vicina. Meno male che io sto alla scala 5. Me lo dicono i miei piedi fermi e ben piantati sulle mattonelle rosse di casa mia, al piano 7 della scala 5 di via De Sa Forada Manna 13 di Villamarina-Sud. Villaggio ex-turistico... Oh, Gesù, no! Mi torna la nausea! E’ il segno che non ci sto con la salute… Mi gira la testa come fossi sospesa sui fili del filobus! Ahi, ecco, la senti? Vai che comincia a gracchiare! La radiosveglia con le cifre sbagliate, dico. Attacca il solito notiziario delle stupidaggini locali! Te li servono così i fatti del giorno, in diretta, come dicono. Là dietro, un tizio al telefono riceve le scorregge del vicinato; tra l’una e l’altra ti propina le canzoni più strapazzate, mischiate con la pubblicità più cretina; e poi le condisce con l’elenco degli incidenti stradali, dei furti nei pollai e delle saghe. Senti? In via Sa Forada Manna, al numero civico 13, scala 6 un vero fiume d’acqua rossa o arrossata che pare sangue…

Ma a me che cosa importa di un rubinetto che cola? Io non abito alla scala 6!»

C’è bisogno di aggiungere che il cattivo sogno è una dura realtà di solitudine, d’indigenza e di abbandono?

Nel quotidiano locale apparve il seguente titolo sopra un brevissimo trafiletto:

Anziana donna cade dal 7° piano

Si salva sopra lo stenditoio del sesto.

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